Translated by: GIOVANNA DE LUCA
Le scuole in Siria sono come le prigioni. Hanno alti muri e sbarre alle finestre e insegnanti che picchiano i loro studenti con bastoni di tutte le dimensioni, colori e forme. Istruttori militari non molto diversi dagli ufficiali dell’esercito erano soliti distribuire punizioni in stile militare. Dopo l’inizio del cosiddetto “processo di sviluppo e modernizzazione” e l’ascesa alla presidenza di Bashar al-Assad nei primi anni 2000, quegli istruttori militari sono stati sostituiti da insegnanti. Come i loro predecessori, sorvegliavano costantemente gli studenti e avevano un’ossessione per la disciplina. La maggior parte di loro erano ex ufficiali dell’esercito o volontari nei servizi di sicurezza e nel mukhabarat. La loro missione è rimasta in gran parte la stessa, solo i loro titoli sono cambiati. La violenza che si verifica all’interno di queste scuole, oltre ad altri fattori legati alle condizioni sociali e al rapporto delle scuole con il regime, spinge molti studenti all’abbandono in varie fasi. Cosa c’è dietro questo fallimento educativo?
Ricordi di scuola in Siria
Le scene di violenza a cui ho assistito in più di un decennio frequentando le scuole siriane, dai primi anni fino alla scuola secondaria, sono troppe per essere contate. Nell’ultimo anno di scuola elementare, quando io e i miei compagni di classe eravamo in prima media alla tenera età di 11 o 12 anni, ho frequentato la scuola Mohieddine bin Arabi nel quartiere Rukn al-Din di Damasco. Uno degli insegnanti picchiava sia i ragazzi che le ragazze. Una volta ha picchiato brutalmente un ragazzo della mia classe e poi l’ha preso a calci. Poi piegò il braccio del ragazzo dietro la schiena e lo costrinse ad appoggiarsi all’indietro contro il suo ginocchio, rompendogli il braccio. Tornò a scuola il giorno dopo con il braccio avvolto in un gesso, e fu costretto a scusarsi con l’insegnante. Più tardi, in terza media, per qualche ragione gli studenti presero l’abitudine di bruciare i libri di testo dopo aver terminato i loro corsi. Quindi la guida della scuola – è lui che svolge alcuni compiti logistici per le classi – un giorno lasciò la scuola pensando che gli studenti avrebbero avuto paura di lui e avrebbero smesso di bruciare i loro libri. Dopotutto, era famoso per essere violento e colpire chiunque incontrasse sulla sua strada con qualunque cosa stesse trasportando.
Uscì dalla porta principale e rimase ad aspettare nel mezzo del cortile della scuola, che si affaccia sul cancello esterno. Cominciò una sorta di ribellione. Gli studenti iniziarono a tirargli i libri ed era come una scena di un film: lui, lì, in mezzo al cortile della scuola con i libri che lo colpivano da tutte le parti. La mattina dopo, di buon’ora, entrò in ogni aula una per una, chiamando due o tre nomi in ciascuna di essa. Sembrava che le sue spie tra gli studenti gli avessero dato i nomi di coloro che avevano partecipato alla campagna di lancio dei libri del giorno prima. Nella mia classe furono fatti i nomi di due studenti. Iniziò a picchiarli e a maledire le loro madri davanti alla nostra insegnante, che, spaventata, nascondeva il viso dietro un libro. Ha poi cacciato i due studenti dall’aula e quando sono tornati poco dopo, erano coperti di sangue. Non erano autorizzati a lavarlo via.
Esperienze come questa ci hanno fatto odiare la scuola. Odiavamo gli insegnanti e non avevamo voglia di frequentare le lezioni, che comunque non avevano lo scopo proprio di educarci. Il nostro unico compito era quello di memorizzare tutto ciò che ci veniva insegnato in modo da poter superare gli esami e arrivare all’anno successivo.
Questo odio, questa mancanza di sentimenti di appartenenza al luogo, questa mancanza di eccitazione per un futuro migliore, hanno spinto molti studenti (me compreso) a saltare le lezioni. Dopo essere usciti di casa la mattina e aver salutato le nostre famiglie, ci incontravamo con i nostri amici vicino all’edificio scolastico. Da lì, andavamo semplicemente da qualche altra parte.
Alle medie, ricordo che scappavamo da scuola per andare a nuotare o giocare a calcio, e alle superiori conoscevo appena gli insegnanti di alcune materie. Andavamo a casa di un nostro amico a guardare film o leggere libri che erano al di fuori del curriculum scolastico. A volte ci incontravamo al famoso caffè al-Kamal nel centro di Damasco per fumare il nargileh e giocare a carte.
Il design della scuola e il regime siriano
Le scuole in Siria, come altri edifici governativi, sono progettate per essere brutte. Sono grandi, per ospitare molti studenti. Questi enormi edifici sono di un colore marrone terroso all’esterno e di solito sono decorati con slogan che glorificano il dittatore Hafez al-Assad, sue citazioni, o disegni di lui e dei suoi figli, tra cui Bassel al-Assad, morto in un incidente d’auto nel 1994, e Bashar, che in seguito avrebbe ereditato il potere da suo padre.
Ricordo che di solito c’erano due porte principali: una che dava direttamente sulla strada per gli insegnanti e gli amministratori, e un’altra che dava sul cortile che circondava l’edificio scolastico. È lì che gli studenti si ritrovavano la mattina, durante le pause tra una lezione e l’altra e per la lezione di ginnastica.
Come nelle carceri, questo cortile è circondato da un muro esterno. L’edificio è collegato al mondo esterno tramite un grande cancello in ferro, che si apre solo una volta al mattino per ricevere gli studenti e di nuovo alla fine della giornata scolastica per consentire loro di uscire.
L’edificio scolastico, di solito alto tre o quattro piani, è suddiviso in stanze, ognuna delle quali è chiamata “divisione” (o “shaabeh” in arabo). Ciò è simile alle “divisioni” del Partito socialista arabo Baath, che è stato il partito dominante nella vita politica siriana dagli anni ’60.
Ogni “divisione” della scuola ha circa 40-55 studenti seduti tre bambini per banco. L’insegnante non parla mai direttamente con nessuna ragazza o ragazzo durante le lezioni, poiché il numero di bambini in ogni stanza li rende incapaci di dedicare tempo a ognuno di loro.
Nelle riunioni mattutine, e prima dell’inizio delle lezioni, gli studenti stanno sull’attenti in file ordinate, una fila per ogni “divisione”. I bambini poi recitano i canti mattutini, gli inni nazionali, le lodi per il partito Baath e i saluti che glorificano il Presidente della Repubblica, come: “Una nazione araba/con un messaggio eterno/I nostri obiettivi: unità, libertà, socialismo/Il nostro leader per tutta l’eternità è al-Amin Hafez al-Assad.” Oppure uno degli insegnanti recita: “Mio compagno, preparati a costruire una società araba unificata e a difenderla”. Quindi gli studenti devono rispondere alzando la mano destra in piccoli saluti nazisti: “Sono sempre pronto!”
Ovviamente le scuole sono divise per genere. Dopo la scuola primaria, che è mista, i ragazzi continuano i loro studi in scuole maschili e le ragazze vanno alle scuole femminili, ad eccezione delle scuole d’élite (ogni grande città in Siria ne ha una) e di alcune accademie private e straniere . Ma solo i più ricchi possono permettersi una retta mensile per queste ultime.
Attraverso la progettazione di questi edifici scolastici, i metodi di insegnamento, la violenza costante e gli slogan che i bambini devono ripetere ogni giorno da quando compiono sei anni fino a quando non si diplomano a 18 anni, il sistema fa il lavaggio del cervello agli studenti. L’obiettivo: trasformare questi bambini nella prossima generazione dello stato baathista e continuare il circolo della violenza e dell’autorità dittatoriale. Questo rende più facile controllare la società, seminando la paura costante del leader e del regime e installando l’immagine del leader ovunque, guardando costantemente tutti come il Grande Fratello del 1984.
Nel suo film A Flood in Baath Country, il regista siriano Omar Amiralay mostra la condizione siriana e l’autorità del regime Baath, guidato da Hafez al-Assad e in seguito da suo figlio Bashar, attraverso i dettagli della società, compreso il controllo del partito Baath sulle scuole. Amiralay è riuscito a vedere questa società attraverso una lente microscopica, esaminando una scuola in un piccolo villaggio siriano. Non sorprende che la maggior parte dei film di Amiralay sia stata bandita dalla proiezione nel suo paese d’origine.
Condizioni sociali in Siria e “fuga” dalla scuola
Il Dr. Mustafa Hejazi scrive delle cosiddette società “arretrate” nel suo libro Social Underdevelopment: An Introduction to the Sociology of the Oppressed Person. Nel tentativo di comprendere la violenza che descrive come “il flagello della società”, Hejazi spiega: “L’autorità non conosce altro metodo per affrontare [la società] che il terrore e l’oppressione, la sottomissione senza limiti, che lasciano il posto alla disonestà. Le reazioni di questa autorità sono violente e dirette e assumono un carattere materiale. La struttura sociale alla base di questa situazione è congelata e rigida e non include valvole di sicurezza”.
Hejazi aggiunge in seguito che “il rapporto di oppressione con tutta la repressione, il terrore e l’inganno che contiene, lascia dietro di sé una situazione molto speciale, genera violenza in tutte le sue forme”.
Il rapporto tra violenza rigenerativa e oppressione a tutti i livelli della società siriana, sostiene, porta a un costante sentimento di persecuzione tra i membri di quella società. Hejazi si riferisce a questa sensazione come “la dimensione psicologico-relazionale dell’aggressività”. Secondo Hejazi, questa dimensione “è attiva in due direzioni: riversare aggressività sugli altri e danneggiarli, o cadere vittima dell’aggressione e dell’inganno”.
Forse questa teoria spiega il rapporto della violenza perpetrata contro i bambini siriani in casa, nelle scuole e in tutti gli ambienti della società con il processo di “fuga” praticato e perfezionato da tutti i siriani. Fin dalla nascita, e poi nella prima infanzia, i bambini scappano di casa, timorosi della violenza dei genitori. Poi, come studenti, sfuggono alla violenza e all’oppressione dei loro insegnanti. In seguito, da adulti, gli uomini fuggono dal servizio militare obbligatorio per paura degli ufficiali e le donne fuggono dalla violenza domestica dei loro mariti. I dipendenti fuggono allo stesso modo dall’oppressione dei loro capi e, alla fine, tutti fuggono dagli agenti di sicurezza, che a loro volta temono i loro ufficiali di grado più alto, raggiungendo il vertice della piramide dell’autorità. Lo scrittore e ricercatore Jad al-Karim al-Jabai scrive nel suo libro Modernity Without Limits in Individual Freedom: “Nel nostro paese, una persona è ancora un martello o un’incudine”.
Questo rapporto di dipendenza si basa principalmente sulla violenza e sulla paura. Le istituzioni educative – scuole, università e istituti didattici – lavorano per perpetuare e rigenerare questa violenza in un cerchio senza fine, in modo che coloro che sono stati abusati dalla violenza diventino essi stessi violenti.
Nel suo famoso libro Human Life, il poeta e scrittore siriano Mamdouh Adwan spiega: “Le società repressive e represse generano un dittatore nell’anima di ciascuno dei loro membri. A sua volta, ogni membro di tali società, non importa quanto possa essere perseguitato, è preparato in anticipo a praticare quella stessa oppressione contro coloro che cadono sotto la loro autorità, forse con ancora più violenza e brutalità”.
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